Due recenti esperienze di Progea permettono qualche riflessione sulla gestione dei servizi sanitari e socio sanitari religiosi

E’ innanzitutto evidente che la mission è chiara e gli scopi sono espliciti. Il richiamo ai valori sono costanti e le strategie sicuramente si ispirano a principi che sono radicati nei comportamenti organizzativi. È però vero che ci sono molte complessità: alcune legate a fattori strutturali altri alle consolidate modalità di gestione.

In primis, il tema delle dimensioni.  Molte realtà sono piccole e per il raggiungimento della economicità sono spesso necessarie dimensioni più ampie. Questo si potrebbe realizzare attraverso le reti, cioè attraverso un collegamento stabile tra queste strutture per realizzare politiche comuni come ad esempio per gli acquisti, per il personale, per l’innovazione, ecc..

Inoltre, ci sono elementi di gestione che spesso faticano ad innovarsi e quindi rappresentano un freno alla innovazione e alla capacità di adattamento alle condizioni della domanda. In questo caso sarebbe necessario sviluppare una forte innovazione nella gestione sia con nuovi strumenti che attraverso una maggiore focalizzazione sui risultati.

Infine, si riscontrano anche rilevanti problemi connessi al finanziamento degli investimenti. I capitali disponibili sono ovviamente scarsi e di difficile reperimento.  Questo spesso ostacola l’adeguamento delle strutture e delle tecnologie. La sottocapitalizzazione è spesso un elemento “mortale” che genera problemi significativi per la stessa sopravvivenza dell’esperienza.

Ma ci sono anche elementi determinate dalle politiche pubbliche che non valorizzano le capacità di queste strutture: l’attenzione ai pazienti o agli ospiti, la qualità dei servizi erogati, la cura delle condizioni di vita. Tutti questi aspetti possono rappresentare in alcuni livelli di servizio un elemento distintivo capace di generare non solo attenzione, ma anche un modello di riferimento.

 

In questo periodo due aspetti sono sicuramente di gran importanza

  • I progetti di assistenza di continuità delle cure devono trovare supporto anche all’interno del PNRR. Escludere queste esperienze sarebbe purtroppo negativo, proprio perché si perderebbe esperienze e capacità progettuali;
  • le reti con strutture pubbliche devono essere rafforzate e viste in logica di valorizzazione di competenze: rapporti “win win” devono essere il punto di riferimento rispetto a relazioni che vedono il non profit religioso succube delle politiche pubbliche.

 

Come fare tutto questo?

Sicuramente la voce del non profit religioso deve farsi sentire soprattutto attraverso progetti e idee di collaborazione. Sta alle politiche pubbliche individuare criteri e modalità per premiare la capacità realizzativa e il perseguimento di miglioramento nei servizi assistenziali.