Quando si parla di rischio clinico ci si riferisce alla probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, ossia subisca un qualsiasi danno o un disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle prestazioni sanitarie ricevute durante periodo di degenza e che, oltre a causare un prolungamento del periodo di ricovero, potrebbe portare ad un peggioramento delle condizioni di salute o la morte. (Kohn 1999)

In Italia, Joint Commission International (JCI) e Progea conducono un percorso in partnership nella diffusione della metodologia della qualità e della gestione del rischio per le organizzazioni sanitarie.

Qualità e rischio clinico rappresentano gli elementi centrali su cui si basa l’approccio JCI, anche all’interno dei suoi strumenti di lavoro: i manuali.


LA METODOLOGIA JCI E IL SUO IMPATTO NELLA GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO

Nel corso degli anni Joint Commission ha continuamente revisionato gli standard ospedalieri per tener conto dei continui cambiamenti nel mondo sanitario, perfezionando una metodologia strutturata e studiata per garantire al paziente una base su cui contare nella scelta dell’erogatore delle cure.

Al fine di poter salvaguardare tutti gli aspetti della sicurezza del paziente, Joint Commission ha sviluppato una metodologia di verifica chiamata Patient Tracer per seguire realmente il percorso di un paziente all’interno dell’ospedale, e meglio identificare i possibili punti di debolezza nella trasmissione di informazione e nella gestione delle cure fornite che mettono a rischio lo stesso paziente.

Joint Commission ha inoltre sviluppato un servizio di Patient Safety Connections.

L’obiettivo principale del servizio è il significativo e continuo aumento delle capacità di un’organizzazione di riconoscere e affrontare i rischi relativi alla sicurezza del paziente attraverso l’implementazione e mantenimento nel tempo di efficaci interventi migliorativi del servizio.

Per realizzare l’obiettivo, Joint Commission crea programmi ad hoc per:

1) assistere l’organizzazione nel capire il proprio impegno nella sicurezza del paziente;

2) valutare la capacità dell’organizzazione di cambiare e sostenere il miglioramento della performance;

3) identificare all’interno dell’organizzazione:

– le minacce alla sicurezza del paziente;

– i processi e sistemi di cura da ridisegnare per ridurre ulteriormente i rischi ai pazienti;

– il livello di attenzione e di supporto per l’erogazione di cure sicure per i propri pazienti;

– un piano d’azione per rafforzare le cure e le pratiche che più mettano al sicuro i pazienti.


UN APPROCCIO BILATERALE

Il metodo sviluppato da JCI e le evoluzioni realizzate nel tempo hanno sempre puntato alla realizzazione di un processo di gestione del rischio che coinvolgesse sia gli operatori, che gli assistiti.

In quest’ottica infatti, il paziente deve sentirsi libero di poter segnalare ogni elemento che in qualche modo lo faccia sentire in pericolo o che, comunque, risulti sospetto ai suoi occhi. Dall’altra parte gli operatori devono avere un background di conoscenze solide, affinché possano evitare comportamenti o situazioni potenzialmente dannosi per i pazienti.


I VANTAGGI

Il vantaggio di un approccio bilaterale è evidente. Gli operatori, conoscendo i potenziali eventi avversi, possono evitarli e ridurre così la percentuale di rischio presente presso la propria struttura o unità operativa.

La riduzione del rischio si riversa automaticamente su una maggiore sicurezza del paziente e una maggiore probabilità di buon esito in un percorso di cura.

Inoltre, è da sottolineare come una significativa riduzione degli eventi avversi si rifletta su un minor numero di contenziosi.