Intervista alla Dott.ssa Laura Speccher, Medico Igienista, già Direttore Unità Operativa Complessa Igiene Sanità Pubblica, ATS Città di Milano.
In Lombardia, la necessità di rispondere ad un bisogno sanitario sempre più specifico e complesso, soprattutto nell’ambito della piccola chirurgia ambulatoriale (chirurgia plastica, estetica, dermatologica e odontoiatrica) e delle attività diagnostiche e terapeutiche complesse e invasive, ha visto negli ultimi anni un profondo cambiamento delle unità ambulatoriali territoriali private non accreditate con il SSN che hanno esteso la loro attività anche a prestazioni sanitarie di bassa complessità ma comunque a rischio.
Oggi si praticano infatti attività diagnostiche o terapeutiche complesse anche in anestesia topica, locale, loco regionale; vengono utilizzate apparecchiature elettromedicali che comportano rischi per la salute del paziente, come ad esempio apparecchiature radiologiche o con sorgenti radioattive, laser (classi 3, 3B e 4, ai sensi della norma CEI EN 60825‐1) ecc.
A fronte di questa complessità, la modalità organizzativa dell’ambulatorio riveste un ruolo fondamentale per garantire un elevato standard qualitativo dell’offerta, un livello sufficiente di tutela medico-legale dei professionisti coinvolti, la riduzione del rischio clinico e il conseguente aumento della sicurezza del paziente, oltre che il possesso/mantenimento dei requisiti minimi autorizzativi da parte dell’ambulatorio.
In molti casi, si rende quindi necessario per la struttura sanitaria trasformare il proprio status e/o l’assetto organizzativo al fine di essere in regola con i requisiti autorizzativi previsti da Regione Lombardia. Ma come farlo?
Per comprendere meglio il quadro normativo di riferimento della Regione Lombardia e i passaggi da seguire per essere in regola con i requisiti previsti dalla legge, abbiamo intervistato la dottoressa Laura Speccher, Medico Igienista, già Direttore Unità Operativa Complessa Igiene Sanità Pubblica, ATS Città di Milano.
Dottoressa, quali sono le regole base per avviare un’attività sanitaria di tipo ambulatoriale in Lombardia?
Ai sensi dell’art. 15 della L.R. 33/2009 “Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità” e smi, le strutture sanitarie private, ambulatori polispecialistici e odontoiatria monospecialistica (AOM), che intendono svolgere attività , fermo restando il possesso dei requisiti minimi stabiliti dalle disposizioni vigenti, presentano una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) alla ATS competente per territorio utilizzando il portale Regionale ASAN e allegando la documentazione integrativa richiesta. La Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) deve essere presentata anche nei casi di ampliamento e di trasformazione di attività già in essere.
Quindi non c’è più Autorizzazione di ATS?
Di fatto no, la SCIA costituisce titolo per l’avvio contestuale dell’attività medesima; ma è compito di ATS la verifica di quanto autocertificato, a partire dagli aspetti documentali prodotti con l’istanza e successivamente con vigilanza nelle strutture con personale dedicato.
È nella fase di vigilanza che, in caso di riscontro di non aderenza ai requisiti, possono essere adottati provvedimenti amministrativi del tipo diffide, sanzioni, sospensioni dell’attività a seconda di quanto evidenziato.
È evidente come ciò possa essere penalizzante per il professionista che potrebbe dover sospendere l’attività da un lato e dall’altro evidenziare un potenziale rischio per la salute del paziente.
Quali sono le principali difficoltà che ha individuato nei professionisti nell’avvio di queste pratiche?
Spesso i professionisti sanitari si perdono negli aspetti meramente burocratici, si affidano a progettisti che non sempre hanno tutte le competenze per la realizzazione di spazi sanitari che richiedono oltre a capacità progettuali anche abilità di carattere organizzativo e conoscenza delle normative specifiche. A quel punto nascono problemi, a volte di difficile risoluzione.
Credo che a volt i professionisti sanitari, presi dai molti impegni, trascurino lo sviluppo degli aspetti organizzativi, ritengono che le procedure, i protocolli, gli aspetti documentali siano solo un appesantimento e non possano rappresentare un valore aggiunto.
Si spieghi meglio per favore.
Procedure e protocolli, come lei ben sa, si possono scaricare da Internet e “fotocopiare”, senza farli diventare parte integrante del quotidiano, senza metterne a frutto l’enorme potenziale nel migliorare la qualità, la sicurezza e l’efficacia della attività sanitaria svolta. Bisogna che tutto il personale, coerentemente al ruolo ricoperto, sia formato e consapevole delle proprie azioni.
Crede che questi “requisiti” definiti dalla norma lombarda in qualche modo possano trovare una similitudine con quelli di Joint Commission?
Credo di sì, lo spirito che guida il legislatore in fondo non è così diverso. Certo i requisiti non sono così puntuali come quelli previsti da JCI, ma l’obiettivo macro finale è molto simile: la sicurezza del paziente.
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